Alvise da Mosto, anche noto come ca’ da Mosto o Cadamosto o in portoghese come Luis Cadamosto, nacque a Venezia nel 1432 e vi morì nel 1488. Nobile e grande navigatore viaggiò in lungo e in largo per conto della Serenissima, dall’Egitto alle Fiandre e proprio durante uno dei suoi viaggi, causa un naufragio, approdò in Portogallo, dove venne immediatamente assoldato dal principe portoghese Enrico il Navigatore, il quale lo incaricò di esplorare approfonditamente l’Atlantico, fino ad allora conosciuto, e di spingersi in aree ancora ignote.
Partì per una prima impresa il 22 marzo 1455 dal Portogallo e intraprese una lunga spedizione nell’Atlantico, visitando Madeira, le isole Canarie, doppiando in Mauritania Capo Bianco, battezzato così per il colore bianco delle sue dune, e giungendo fino alle foci del fiume Senegal. Durante questo viaggio incontrò un’altra spedizione al soldo del principe portoghese, capitanata da Antonio da Noli, e assieme a lui giunse fino alla foce del fiume Gambia, scoprendo il Golfo di Gorsa. Causa le forti ostilità delle popolazioni indigene locali fecero poi ritorno in Portogallo.
Un anno dopo nel 1456 i due capitani, Alvise da Mosto e Antonio da Noli, ripresero l’avventura, addirittura risalendo per un centinaio di chilometri il fiume Gambia e arrivando fino alla Casamance, un’area del Senegal a sud del Gambia, e alle isole di Bissagos, il cui nome attuale è Bijagos, un arcipelago situato ad una ventina di miglia al largo della costa occidentale dell’Africa di fronte alla Guinea Bissau, a metà strada tra il Tropico del Cancro e l’ Equatore.
Durante il ritorno da questa seconda impresa Alvise intravvide in lontananza le isole di Capo Verde, il cui nome deriva dal promontorio africano di Capo Verde, l’attuale Cap Vert, nell’odierno Senegal, che è il punto del continente africano più vicino. Fu proprio Alvise a dare il nome a due delle isole dell’arcipelago, trovate disabitate: Boavista (Bonavista) e Santiago.
Le isole di Capo Verde, che diventarono poi importante testa di ponte per centinaia d’anni per il commercio portoghese degli schiavi africani nelle Americhe, furono esplorate attivamente solamente in seguito e poi occupate nel 1460 ad opera di un portoghese di nome Diogo Gomes. Tutto ciò non sarebbe potuto succedere se non ci fosse stato il veneziano da Mosto.
Alvise da Mosto visse poi per vari anni in Portogallo, occupandosi di commercio, per poi ritornare a Venezia, dove assunse il comando delle galere armate per il commercio con Alessandria d’Egitto.
Per quanto riguarda le esplorazioni di Alvise della costa africana molto significativi furono i suoi racconti sulle popolazioni locali indigene, contenenti anche descrizioni accurate dei fiumi Senegal e Gambia. Redasse personalmente tali relazioni di viaggio, ed esse furono le prime descrizioni basate sulla esperienza diretta e personale di Alvise, dell’Africa Occidentale.
Inoltre fu opera sua uno dei portolani più utilizzati dai navigatori italiani, ora disperso, con carte nautiche e descrizioni accurate dei porti, dei venti, delle maree etcetera. Le sue descrizioni furono utilizzate in seguito da uno dei più importanti cartografi del tempo, Fra Mauro, che se ne servì nel suo famoso mappamondo per elaborare le coste atlantiche africane e le isole del Capo Verde. Fra Mauro scrive riguardo da Mosto nel suo mappamondo “ È risaputo che il mare chiamato Oceano, tra le Isole di Capo Verde ed il continente, gira improvvisamente verso sud; quando Ercole qui giunse con le sue navi e vide il declivio (corrente) del mare tornò indietro, e alzò una colonna, l’iscrizione sulla quale prova che Ercole non andò oltre. In seguito questo scrittore è stato spedito più lontano dal re del Portogallo, nell’anno 1485”. Lo scrittore a cui allude il Fra Mauro è proprio Alvise da Mosto.
Il grande umanista e geografo veneto Giovan Battista Ramusio (1485- 1557) pubblicò un’opera a stampa, intitolata “Delle Navigationi et viaggi”, considerata dagli storici il primo vero trattato di geografia dell’età moderna. Tale lavoro raccoglieva una cinquantina di memoriali di viaggi e di esplorazioni dall’antichità alle grandi esplorazioni dell’Africa e del Vespucci. Ramusio per primo diede risalto alle navigazioni ed esplorazioni di Alvise da Mosto e vi trascrisse le sue relazioni.
Alvise sulla scoperta delle Isole di Capo Verde scrive:
Partimmo dal luoco chiamato Lagus, ch’è appresso il Capo San Vicenzo, nel principio del mese di maggio con vento prospero, e tenimmo la volta delle Canarie e in pochi giorni vi giungemmo. E secondandone il tempo, non curammo di toccar le dette isole, ma navigammo tuttavia per ostro al nostro viaggio, e con la seconda dell’acque, che grandemente tiravano giuso al garbin, scorremmo molto.
Ultimamente pervenimmo al Capo Bianco, e avendo vista d’esso si slargammo un poco in mare; e la notte seguente ne assaltò un temporale da garbin con vento forzevole, onde per non tornar indrieto tenimmo la volta di ponente e maestro, salvo il vero, per parare e costeggiare il tempo due notti e tre giorni. Il terzo giorno avemmo vista di terra, e cridando tutti “terra, terra”, molto si maravigliammo, perché non sapevamo ch’a quella parte fosse terra alcuna. E mandando duoi uomini d’alto discoprirono due grandi isole, il che essendone notificato, rendemmo grazie al nostro Signore Iddio, che ne conduceva a vedere cose nuove, perché sapevamo bene che di queste tal isole in Spagna non s’aveva alcuna notizia. E giudicando noi quelle poter esser abitade, per intender piú cose e per provar nostra ventura, tenimmo la volta d’una d’esse, e in breve tempo li fummo propinqui. E giungendo ad essa, parendone grande, la scorremmo un pezzo a vista di terra, tanto che pervenimmo ad un luogo dove pareva che fosse buon stazio, e lí mettemmo ancora. E abbonazzato il tempo, buttammo la barca fuora e quella ben armata mandammo in terra, per veder se ‘l v’era persona alcuna o vestigio d’abitazione; quali andorono e cercorono molto, e non trovorono strade né signale alcuno, per il quale si potesse comprendere che in essa fossero abitanti. E avuta da loro questa relazione, la mattina seguente per chiarir in tutto l’animo mio mandai dieci uomini ben in punto d’arme e balestre, che dovessino montar la detta isola da una parte, dove l’era montuosa e alta, per veder se trovavano cosa alcuna o se vedevano altre isole: per il che andorono e non trovorono altro se non che l’era disabitata, e v’era grandissima copia di colombi, li quali si lassavano pigliar con la mano, non conoscendo quel che fosse l’uomo; e di quelli molti ne portorono alla caravella, che con bastoni e mazze avevano preso. E nell’altura ebbono vista di tre altre isole grandi, delle quali l’una non se avedemmo che ne rimaneva sotto vento dalla parte di tramontana, e le altre due erano in dromo dell’altra alla via d’ostro, pur al nostro cammino, e tutte a vista l’una dell’altra. Ancora li parse di vedere dall’altra parte di ponente molto in mare a modo dell’altre isole, ma non si decernivano bene per la distanzia: alle quali non mi curai di andare, sí per non perder tempo e seguir il mio viaggio, come perch’io giudicava che fossino disabitate e salvatiche come eran quest’altre. Ma dipoi, alla fama di queste quattro isole ch’io aveva trovato, altri capitando quivi le furono a discoprire, e trovorono quelle esser dieci isole fra grandi e piccole, disabitate, non trovando in esse altro che colombi e uccelli di strane sorti e gran pescason de pesci.
Ma, tornando al mio proposito, ne partimmo di questa isola e, seguendo il nostro cammino, venimmo a vista delle altre due isole. Onde, scorrendo la staria d’una d’esse, che ne pareva copiosa di arbori, discoprimmo la bocca d’un fiume che usciva di questa isola, e giudicando la fosse buon’acqua sorgemmo per fornirsi; e dismontati alcuni dei miei in terra, andorono al primo luoco di questo fiume su per la riva, e trovorono lagune piccole di sale bianchissimo e bello, del quale ne portorono al navilio in gran quantità; e di questo prendemmo quanto ne parse, e cosí trovando l’acqua bonissima ne togliemmo. Dechiarando che qui trovammo gran quantità di biscie scudellare, o sian gaiandre, a nostro modo, delle quali ne prendemmo alcune, la coperta delle quali era maggiore che buone targhe. E quelli marinari le amazzarono e fecero piú vivande, dicendo che altre volte ne avevano mangiato nel colfo d’Argin, dove etiam se ne trovava, ma non cosí grandi. E dico che ancora io per provar piú cose ne mangiai, e mi parseno buone, non meno quasi come d’una carne bianca di vitello, sí buon odore e sapore rendevan; per modo che ne salorono molte, che in parte ne furono buona munizione sul viaggio. Ancora pescammo su la bocca di questo fiume e di dentro, dove trovammo tanta quantità di pesce che gli è incredibile dirlo, delli quali molti d’essi non avevamo mai veduti, ma grandi e di buon gusto. La fiumera era grande, che largamente vi potria entrar dentro un navilio di botte centocinquanta cargo, ed era larga un buon tirar d’arco. Qui stemmo duoi giorni a sollazzo e si fornimmo delli renfrescamenti anteditti, con molti colombi che ammazzamo senza numero, notando che alla prima isola dove che dismontammo mettemmo nome isola di Buona Vista, per esser stata la prima vista di terra in quelle parti; e a questa altra isola, che maggior ne pareva di tutte quattro, mettemmo nome l’isola di San Iacobo, perché il giorno di san Filippo Iacobo, venimmo ad essa a metter ancora.
Baci grandi a tutto l’equipaggio Isa